mercoledì 11 novembre 2009

un centopiedi in cucina

è mattina, credo che siano le sei e mezzo o forse sono già le sette. Mi stiracchio, ho ancora il piccolo sotto al braccio, non riesco a stendermi. Tutti dormono, che strano, un attimo solo per me.
Ecco, un attimo appunto. Si è svegliato, suona anche la sveglia. Sisi ok andiamo. Uno due tre si parte. Mamma latte tanto, tiepido, favore. Ueeee ueeee ueeee. Colazione per uno, giochino per l'altro, e su amore non piangere, lavastoviglie da caricare (ma perchè la sera siamo sempre così stanchi, si farebbe molto prima la mattina se certe cose le facessimo la sera prima). Poi che faccio, non mangio, e si..... penso, mi ci vorrebbe una mano in più, facciamo due. Una briciola di minuto per fare colazione, no, che dico, mamma cacca pipì.... come vorrei avere anche due gambe in più così potrebbero andare in bagno mentre io me ne starei quì a mangiare i miei biscotti. Vabè rinunciamo, mi è passata anche la voglia. Lavarsi, vestirsi. Lavare, vestire. Non ho niente da mettermi, devo stirare qualcosa. Monto il tavolo da stiro e preparo il ferro. Picchi hai bisogno di una camicia? Si, grazie. E quando mai non ne ha bisogno. E intanto anche il piccolo ha fatto la cacca. Ecco, altre due mani. Così le lascio quì a stirare che proprio non mi va mentre vado a coccolarmi il mio bambolotto. E quell'altro dove sta? Ah, ecco, sta tirando fuori tutti i suoi giocattoli al centro del salotto. Tesoro, poi li metti a posto vero? Come no. Altre manine a sistemare le costruzioni e se c'è tempo si gioca anche un pò. Tutti pronti, vestiti. Si va. Il tragitto che mi porta al lavoro è lungo, mi stanco di guidare, metto la radio. Devo chiamare il dottore, il mio pupetto non sta ancora bene. Se proprio vogliamo ci vorrebbero due mani anche quì così non rischio neanche di prendere una multa, non ci vorrebbe.
Arrivo. Ciao, ciao. Tanti lavori da finire e sempre seduta su quella sedia. Quanto mi piacerebbe avere altre due manine a battere su questa tastiera e magari anche altre due gambe così queste le porto un pò in giro a sgranchirsi un pò.
Sono le tre, devo scappare. Salto in macchina, chiamo mia madre, facciamo due chiacchiere. Ecco, prendo prima il grande o il piccolo? Come è andata oggi? Ha mangiato? Ha dormito? Dai andiamo tesoro, vestiamoci che andiamo. Aspetta quì vicino che devo vestire tuo fratello. Infila una manica, infila l'altra, il cappellino. Andiamo. Dov'è andato? E' entrato in stanza? No. Forse è uscito. Corro. Corro con il piccolo in braccio. Spalanco le porte. Il cancello è aperto. Lui è lì, vicino la portiera della macchina. Mi arrabbio, strillo, ma vorrei avere altre due mani per prenderlo a sculaccioni, due mani belle forti che non esitino, che parlino chiaro e che esprimino tutta la mia paura. Mi calmo, raccolgo buste, bustine, butto tutto in macchina, figli compresi, vado via. Casa mi sembra un miraggio. Cavolo manca il latte e stasera che mangiamo? Passo a fare la spesa? Ma come faccio. Beh in qualche modo farò. Daltronde se aspetto che torni papà faccio notte. No vado io. Bimbo grande nel carrello, bimbo piccolo in braccio. Amore mio come vorrei che camminassi sulle tue cambine, ma non è ancora il momento e allora vorrei altre due mani, così almeno riesco a fare la spesa. Ok preso tutto, si parte, si va. Sorrido, me la sono cavata. Sono riuscita ad evitare il reparto caramelle e ho distolto l'attenzione dagli ovetti di cioccolato. Finalmente a casa. Ed ora di mani e gambe ce ne vorrebbero davvero tante. Due a sistemare, due a cucinare, due a stendere i panni e, quelle più importanti, a piegare i panni già asciutti. Gambe che salgono, gambe che scendono, gambe che corrono. Io quì, seduta sul tappeto. Un braccio mi serve per allattare il piccolo e con l'altra mano gioco con il grande. Le gambe stese. Il ginocchio non sta ancora bene. Passerà. Per forza.
Cena, cambi, hai preso il biberon? La storia la racconti tu? Io mi riposo.
Sono le otto e mezza. I bambini sono a letto. Ho già il pigiama addosso. Penso che dovrei lavarmi i capelli. Domani. Forse.
Sono seduta il cucina. Al buio. Mi piace guardare fuori. Il vento, gli alberi. Persone che rientrano, altre che escono.
Sono stanca. Penso a tutte le cose che ho fatto oggi e a quante ancora ho lasciato indietro. Penso a tutte le volte che ho desiderato altre due mani o altre due gambe. Mi viene da ridere. Se qualcuno avesse esaudito i miei desideri di oggi sarei un misto tra la dea kalì e una medusa. No, peggio, sarei un centopiedi in cucina che sorseggia tè.

giovedì 5 novembre 2009

buio viola

crediamo di dover crescere, educare, insegnare. Ci carichiamo di responsabilità. E poi. Poi bastano istanti di assoluta semplicità per ricordarci che forse siamo proprio noi a dover imparare qualcosa. Siamo noi a doverci sedere sul tappeto accanto a loro e a dirgli "su amore mio, insegnami qualcosa di nuovo oggi".
E sono frasi spontanee, quasi banali che ci svelano quello che non vediamo da tempo, che abbiamo scordato da qualche parte dentro ad un cassetto di una scrivania o tra i panni da lavare. In un attimo siamo di nuovo quei bambini che non vogliono andare a dormire, che non vogliono lavarsi i denti. Siamo li che battiamo i piedi per terra perchè la cosa più importante, quella che ci fa vivere o morire, è mangiare la merenda sul divano davanti alla televisione. In un attimo siamo piccoli, bassi e determinati e sappiamo esattamente cosa vogliamo e, e quì sta il vero dramma, nessuno ci capisce o meglio tutti decidono per noi.
"Vieni che ti mangio"."No mamma, non si mangia, è crudo"
Il nostro linguaggio si completa di tanti termini, tanti riferimenti.... che sfogio di cultura, ma le nostre relazioni umane non ci guadagnano.
"E' ora di fare la ninna, fuori è buio" "Non è buio, è buio viola"